Golpe in Russia. La buffonata di Prigozhin durata 24 ore e le reazioni dei media italiani

Il tentativo di insurrezione armata del capo della Wagner PMC, Yevgeny Prigozhin, è durato meno di 24 ore, prima di arrendersi e accettare l’esilio in Bielorussa. I suoi obiettivi non sono ancora chiari. Voleva prendere il controllo del Ministero della Difesa? Voleva sovvertire il governo? Solo 5.000 dei 25.000 effettivi della Wagner lo hanno seguito, 20.000 hanno preferito abbandonare il Comandante, condannandolo al fallimento.
Che conclusioni si possono trarre da tutto cio’? Al momento a livello internazionale ci sono diverse opinioni, frutto di accurate analisi ancora in corso. In attesa di analisi definitive sappiamo di certo che: l’avventura di Prigozhin non ha generato una guerra civile ma è stata risolta in brevissimo tempo con azioni prevalentemente diplomatiche.
Inoltre non si è verificato nessuno sfondamento delle linee di difesa russe in Ucraina. L’esercito ucraino ci ha provato, sperando che le unità della Wagner e dell’esercito russo fossero nella più totale confusione. Tutti gli attacchi (massicci) sono stati respinti con enormi perdite da ambe le parti.
I giornalisti e media europei hanno prudentemente calibrato le loro informazioni sulla base di pacate e attente analisi degli avvenimenti, sentendo il parere di esperti militari, di fonti internazionali (anche russe), consultando i loro inviati a Mosca.
Nel nostro Paese, anche in questa occasione, abbiamo assistito alla “originalità italiana” che ci contradistingue nel bene e nel male. Vari giornalisti e media italiani, hanno reagito emotivamente, elettrizzati dalla possibilità che la rivolta di Prigozhin realizzasse finalmente tutti i sogni da loro nutriti da oltre 15 mesi; convinti senza ombra di dubbio che il tentativo di golpe degenerasse in una guerra civile, capace di far implodere la Federazione Russa e garantire la vittoria finale Kiev / NATO in Ucraina.
Ma come spesso accade, tra fantasia e realtà la distanza è notevole. Cosa resta oggi quindi dei fiumi di parole gettate al vento, da analisti, commentatori e giornalisti italiani? Nulla ovviamente.
Di seguito vi propongo una carrellata delle “perle” comparse sui media e social.











Nell’impeto di auto convinzione del tanto atteso collasso della Federazione Russa c’è chi si abbandona a sbefeggiare e denigrare giornalisti e commentatori che fin dall’inizio del conflitto hanno mantenuto un atteggiamento maturo offrendo informazione non inquinata da propaganda, convinzioni politiche e desideri personali.

Al peggio non c’è mai fine. Infatti c’è chi preferisce essere più chiaro e pubblicare la sua personale lista nera o di proscrizione con tanto di foto (segnaletiche?)

A vedere questa ennesima lista dei “traditori della Patria” usata come una forma qualunque di comunicazione per rafforzare l’intolleranza verso il pensiero critico, mi ritorna in mente il profetico articolo di Adriano Sofri: “Blacklist. Casa è l’infamia della proscrizione”, pubblicato su La Repubblica il 12 febbraio 2008: “Blacklist. Casa è l’infamia della proscrizione”.
“Formule come “lista nera” o “lista di proscrizione” vengono ormai impiegate per le circostanze più varie, comprese le più frivole. Per ripristinare una demarcazione converrà dire subito e brutalmente che, nel loro significato profondo e originario, esse hanno a che fare con la morte: la morte fisica, o comunque la morte civile”

Tutti questi articoli dai titoli roboanti scritti di getto senza attendere gli avvenimenti, rischiano di risultare agli occhi di osservatori distaccati, emotivi e cascare nel tunnel senza fine della mera propaganda, rafforzata da un irrazionale odio verso la Russia e, addirittura verso, colleghi rei di raccontare una narrativa dei fatti diversa da quella imperante. Tutti elementi che rappresentano l’antitesi di un giornalismo teso a informare corettemente anche quando la realtà va contro le nostre aspettative.
Per ironia della sorte la maggior parte di questi articoli sono stati confutati dai fatti dopo poche ore dalla loro pubblicazione. Il che, normalmente, dovrebbe creare imbarazzo per chi li ha scritti e le redazioni che li hanno pubblicati in quanto il letttore, la famosa opinione pubblica, non è una massa indistinta e credulona da educare ma persone raziocinanti che sanno distinguere tra informazione e propaganda.
Ma c’è ancora chi, tra i giornalisti e media italiani, non si arrende all’evidenza, affermando che Prigozhin non sia ancora sconfittto.

C’è anche chi fa uscire dal cilindro del prestigiatore addirittura l’oligarca caduto in disgrazia Mikhaïl Khodorkovski per lanciare pubblici appelli all’insurrezione armata rivolti alla popolazione russa; senza sapere che il cosidetto “dissidente” non ha alcun seguito in Russia, nemmeno tra le organizzazione neonaziste e terroristiche che hanno compiuto i recenti attentati nelle regioni di confine con l’Ucraina.

La passarella delle “perle” regalateci dai media italiani si conclude con alcune riflessioni. Tra le più importanti quella fatta dal illustre e stimato filosofo classico, grecista, storico e saggista Luciano Canfora: “E’ straordinario come le parole di Prigozhin abbiano acquistato tutto questo valore presso i nostri mezzi di informazione” constata il filosofo su La7 descrivendo la classe giornalistica italiana.

Gli fa eco il fotografo Davide Busetto, ricordando che non è la prima volta che certi giornalisti e media italiani profetizzano la fine di Putin e della Russia.

Ma non tutto il male viene per nuocere. C’è anche chi (forse) ha iniziato una seria riflessione e autocritica sul modo di proporre l’informazione in Italia.