Etiopia. Vendita di armi italiane. Le dovute precisazioni.

Sui social infuria l’indignazione sulla vendita di armi italiane al governo etiope proprio quando infuria la guerra civile nel Tigray. Una indignazione giusta ma che si basa su una totale disinformazione sulla legge di cooperazione militare tra Italia ed Etiopia, di fatto al momento congelata proprio per gli avvenimenti bellici in corso.

Sui social si osservano giuste indignazioni sulla vendita di armi italiane al governo etiope proprio quando infuria la guerra civile al nord e le prove delle pulizie etniche tendenti al genocidio sono ormai inconfutabili. Molti cittadini etiopi originari del Tigray chiedono l’immediata cancellazione del contratto di vendita.

La vendita di armi a paesi in conflitto o a regimi che reprimono i diritti civili è una palese violazione dei trattati internazionali. L’Italia, per sostenere la sua industria nazionale di armi, negli ultimi 10 anni ha più volte violato i trattati internazionali tramite vendita dirette o triangolazioni. Primo tra tutti i trattati violati il Trattato sul Commercio delle Armi adottato dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 2013 che vieta la vendita di armi a paesi dove sia in atto un conflitto armato. Queste vendite violano la stessa legge italiana (legge n. 185 del 1990) che disciplina l’esportazione, l’importazione e il transito di armamenti.

Negli ultimi anni l’Italia si è aggiudicata il nono posto nell’esportazione di armi. I principali mercati sono le monarchie della Penisola Araba, Turchia, Israele, Algeria, Angola, Camerun, Egitto, Marocco, Nigeria, Senegal, Sudan e Tunisia. I dati sul volume d’affari complessivo sono carenti ma dimostrano una crescita esponenziali dei contratti dal 2003 ad oggi. Solo nel 2019 l’Italia ha venduto armi per un controvalore pari a 5.174 milioni di euro, maggior destinatario l’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, un presidente che rifiuta di collaborare per far luce sull’omicidio di Giulio Regeni e basa il suo potere sulla sistematica repressione dell’opposizione e la violazione dei diritti civili. Armi italiane vendute alla Arabia Saudita sono state utilizzate nello Yemen. Marocco e Senegal stanno conducendo guerre civili nel Sahara Occidentale e Casamance.

Chi sono i beneficiari di questo business della morte? Il mercato è prevalentemente controllato dalla Leonardo, ex Finmeccanica che si posiziona al nono posto delle maggior aziende mondiali esportatrici di armamenti. Il maggior azionista della Leonardo è lo Stato attraverso il Ministero della Economia e Finanze (30,20% delle quote azionarie). Altre imprese italiane sono coinvolte: Elettronica SPA, Calzoni Srl, Orizzonte Sistemi Navali, Iveco Defence Vehicles.

L’accordo di cooperazione militare che giustamente provoca forte indignazione sui social, è stato siglato in tempi non sospetti: il 10 aprile 2019. All’epoca non vi era alcun indizio anche il più labile che la crisi politica tra il TPLF e il Governo del Primo Ministro Abyi Ahmed Ali potesse trasformarsi in un conflitto armato, come purtroppo avvenne 19 mesi dopo. L’accordo, approvato dal Consiglio dei Ministri presieduto da Giuseppe Conte il 26 giugno 2019, prevede una stretta cooperazione tra i due Paesi in ambito militare e operazioni di supporto alla pace. La partnership tra le forze armate italiane ed etiope prevede scambi di visite e di esperienze, partecipazione a corsi, conferenze, studi, fasi di apprendistato e addestramento presso istituti militari promozione dei servizi di sanità e di ricerca medica, supporto ad iniziative commerciali connesse a prodotti della difesa. L’accordo prevede anche il trasferimento di sistemi d’arma e apparecchiature belliche.

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri l’accordo è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 5 febbraio 2020 e dal Senato della Repubblica il 8 luglio 2020. La legge che regola questa cooperazione militare entra in vigore il 4 agosto 2020 dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

All’epoca le relazioni tra il governo federale e quello del Tigray erano molto tese e lo scontro politico al culmine della sua violenza. Al centro della controversia le elezioni legislative annullate dal Primo Ministro Abiy per mantenersi al potere e acquistare il tempo necessario per far diventare popolare il suo partito: Prosperity Party. Nonostante che le tensioni politiche avevano raggiunto un punto critico con la decisione delle autorità del Tigray di condurre le elezioni regionali nel settembre 2020 contro la volontà del governo federale, non si potevano individuare segnali della intenzione del Premio Nobel della Pace Abiy di risolvere la diatriba politica avviando un conflitto con la partecipazione del regime totalitario eritreo e la dirigenza fascista Amhara.

Qualcuno potrebbe obiettare che non vi era la necessità di prevedere una eventuale guerra civile per bloccare la legge di cooperazione militare. Nel luglio 2020 vi era stata la sanguinosa repressione della rivolta Oromo che aveva coinvolto anche la capitale Addis Ababa. Un segnale che il governo Abiy si stava avviando verso posizioni dispotiche e dittatoriali. Le tensioni etniche presenti nel Paese (compreso l’Ogaden — Somali Region e Gambella) erano analizzate con attenzione dal governo italiano ma, nonostante la violenta repressione degli Oromo, non era ancora chiara la deriva totalitaria del Primo Ministro che, a parole, rimaneva ancorato al suo programma di riforme democratiche. Si capiva che Abiy si trovava ad affrontare grossi problemi ma nessuno poteva prevedere gli avvenimenti successivi. I preparativi della guerra in Tigray sono stati svolti in gran segreto tra Abiy, il regime eritreo e la dirigenza di estrema destra Amhara con il beneplacito degli Emirati Arabi Uniti tra il agosto e ottobre 2020. Nessuna intelligence straniera aveva dati sufficienti per prevedere questa alleanza e il successivo conflitto.

A mia conoscenza il governo italiano, pur non abrogando la legge sulla cooperazione militare con l’Etiopia (che rimane in vigore), non sta al momento attuando alcuna collaborazione con le forze armate federali. In Etiopia non si registra la presenza di consiglieri militari italiani e nessun militare etiope sta godendo di addestramenti in Italia o in Etiopia condotta da esperti militari italiani. Non si registrano vendite di armi, sistemi di comunicazione, veicoli logistici, droni armati o di sorveglianza e altre apparecchiature belliche.

L’Italia si è subito schierata per la pace in Etiopia attuando un lavoro di lobby presso l’Unione Europea al fine di imporre un cessate il fuoco e un dialogo nazionale che non comprendesse solo Abyi e il TPLF ma tutte le forze politiche e sociali etiopi al fine di risolvere pacificamente le varie tensioni evitando la balcanizzazione dell’Etiopia.

A seguito di queste contestazioni non sembra opportuno accusare il governo italiano di vendite di armi o sostegno militare che non esistono al momento. Opportuno invece monitorare con estrema attenzione che nessuna cooperazione e vendita di armi regolata dalla attuale legge, venga effettuata fino a quando il conflitto nel Tigray non venga risolto pacificamente. Un compito che deve essere svolto dalla società civile italiana, dalla diaspora etiope in Italia, dalla società civile etiope e dalle associazioni internazionali in difesa dei diritti umani.

Accusare l’Italia di una legge di cooperazione militare che di fatto non è al momento congelata proprio per la delicata situazione in Etiopia, significa esporsi (anche in buona fede) a strumentalizzazioni politiche e propaganda bellica. È sacro santo e giusto condannare il governo italiano se effettuerà vendite di armi o attiverà la cooperazione militare con il governo di Addis Ababa, ma non possiamo condannarlo per una legge firmata tra Stati Sovrani e momentaneamente congelata per prudenza, giustappunto per evitare di essere corresponsabili della tragedia che si sta svolgendo nel Tigray.

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Fulvio Beltrami Freelance Journaliste Africa
Fulvio Beltrami Freelance Journaliste Africa

Written by Fulvio Beltrami Freelance Journaliste Africa

The duty of a journalist is to write down the truths which the powerful keep secret. Everything else is propaganda. Italian Jounalist Economic Migrate in Africa

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