Dove sta andando la ECOWAS? Alcune riflessioni legali.

Crisi in Niger. La parola agli Africani

Lionel Zevounou — afriquexxi.info

Link dell’articolo originale : https://afriquexxi.info/Ou-va-la-Cedeao-Quelques-reflexions-juridiques-a-partir-du-cas-nigerien

Il Niger è il quarto paese dell’Africa Occidentale a subire un colpo di stato militare in meno di tre anni. Si aggiunge alla crescente lista di paesi della regione che sono entrati in tale spirale (Mali, Guinea, Burkina Faso). Ogni volta, è lo stesso scenario e gli stessi elementi di linguaggio: la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA), sostenuta dall’Unione africana (UA) e la “comunità internazionale “ (o quel che ne resta visto che è composta solo da Paesi occidentali, spesso con passato coloniale e presente imperialista NDT), invocare il ripristino dell’”ordine costituzionale” e infliggere, per farlo, una serie di sanzioni economiche più o meno consistenti Nel caso del Niger, alcuni hanno sottolineato che la portata delle suddette sanzioni era addirittura più ampia di quelle che hanno prevalso nei confronti del Mali nel 2022, senza successo.

In ritirata sotto il presidente Buhari, la Nigeria, ora governata dal neoeletto presidente Bola Tinubu, attuale presidente dell’ECOWAS, ha deciso di reinvestire il ruolo guida che ha ricoperto a favore dell’integrazione regionale; solo che, questa volta, non si tratta di proporre un progetto unificante in vista di una migliore integrazione economica e politica, ma di un possibile intervento militare. Diciamolo subito: un simile intervento, ammesso che veda la luce, sarebbe non solo rischioso, ma anche distruttivo del progetto politico di ECOWAS e UEMOA — o di quel che ne resta.

Non è lo scopo di questo breve testo schierarsi con una fazione a scapito dell’altra. Gli africani stanno esprimendo la loro esasperazione per essere governati da leader civili o militari corrotti e incompetenti. Qualunque cosa la “comunità internazionale” possa dire, non ci sono “buoni” e “cattivi” in questa riconfigurazione regionale. Subito dietro i movimenti sociali che si esprimono, ci sono popoli stufi di élite endogame, spesso sottomesse alle agende occidentali, russe o cinesi, e che aspirano a un futuro sociale e politico migliore; questo popolo non chiede altro che la pace, la stabilità, un’adeguata redistribuzione della ricchezza nazionale e la fine dell’impunità legata alla cattiva gestione che ha afflitto il continente africano dall’indipendenza.

È in questo fertile terreno che i militari gettano il letto di una discutibile legittimità dal punto di vista della legalità costituzionale; è questo stesso terreno fertile che alimenta la fantasia di alternative politiche demagogiche, prive di progetti politici credibili e presumibilmente panafricani.

Una vaga base giuridica per l’intervento militare della ECOWAS

Vale la pena ricordare, in questo nuovo vortice che sta scuotendo l’Africa occidentale, alcuni elementi importanti. E prima, per porre una domanda scomoda: su quali basi legali l’ECOWAS intende intervenire militarmente? Articolo 58 del trattato modificato integrato dal protocollo A/SP1/12/01 sulla democrazia e il buon governo addizionale al protocollo relativo al meccanismo per la prevenzione, la gestione, la risoluzione dei conflitti, il mantenimento della pace e della sicurezza firmato a Dakar nel dicembre 2001 , non si pronuncia esplicitamente a favore di un intervento militare. È certamente prevista (articolo 45), in caso di “rottura della democrazia con qualsiasi mezzo”, una serie di sanzioni graduali, ma è difficile intravedere la possibilità di una solida base giuridica che autorizzi l’intervento armato.

Le autorità nigeriane dovrebbero ricordarlo: i protocolli “Lomé” (1999) poi “Dakar” (2001) devono la loro esistenza solo al precedente del frettoloso intervento di Ecomog nell’ambito delle guerre civili che hanno devastato la Liberia, la Sierra Leone e poi la Guinea-Bissau. All’epoca si trattava di guerre fratricide che portarono ad atrocità e ebbero ripercussioni in tutta la regione. Questo non è il caso di Niger, Mali, Guinea o Burkina Faso.

Non è tutto. Assumendo che un’interpretazione molto ampia del protocollo A/SP1/12/01 giustificherebbe la possibilità di ricorrere al force, sarebbe necessario riuscire a superare altre insidie ​​legate alla coerenza interna del trattato ECOWAS. Molte disposizioni contrastano con le sanzioni imposte. Paese senza sbocco sul mare, il Niger rientra nella fattispecie prevista dal capo XIII del trattato, che comprende un articolo 68 specificamente dedicato a questo tema: “Gli Stati membri, tenendo conto delle difficoltà economiche e sociali che taluni Stati membri, e in particolare gli Stati membri insulari e senza sbocco sul mare, possono incontrare, convengono di concedere, ove necessario, a tali Stati un trattamento speciale per quanto riguarda l’applicazione di talune disposizioni del presente trattato e fornire loro ogni altra assistenza necessaria”.

In questo contesto, la riduzione dell’approvvigionamento energetico del Niger colpisce prima di tutto i nigeriani ordinari; lo stesso vale per la chiusura delle frontiere. Inoltre, come conciliare un possibile intervento militare con l’articolo 4 del trattato modificato sui principi fondamentali del trattato richiamando al punto (d) la non aggressione tra Stati membri; al punto (e) il mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità regionali promuovendo e rafforzando relazioni di buon vicinato; al punto (f) la composizione pacifica delle controversie tra Stati membri, la cooperazione attiva tra paesi vicini e la promozione di un ambiente pacifico come prerequisito per lo sviluppo economico.

Molte incongruenze su un eventuale intervento armato.

Inoltre, sorge un’altra domanda inquietante, collegata alla prima. Per seguire la coerenza che presiede alla giustificazione di un possibile intervento militare, sarebbe necessario ripristinare lo stato di diritto in Niger. Bene, ma l’ECOWAS è pronto ad assumersi davvero le conseguenze legali? Che si tratti di Mali, Guinea o Burkina, resta aperta la questione di una possibile responsabilità dell’istituzione. Detto in modo prosaico, chi rimborserà le perdite subite dagli operatori economici locali e regionali a fronte delle sanzioni irrogate? Quali meccanismi di compensazione finanziaria o di composizione amichevole prevedono l’ECOWAS o l’UEMOA dopo le sanzioni in caso di contenzioso dinanzi ai rispettivi tribunali promosso dalle società lese (commercianti, assicuratori, banche, ecc.)? Ricordiamo a tal proposito l’ordinanza del 24 marzo 2022 della Corte di Giustizia dell’UEMOA che sospende le sanzioni inflitte allo Stato maliano dalla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo.

Queste sono solo alcune incongruenze, ma sembra che in nessun momento siano stati affrontati i vari aspetti giuridici di questo problema. Anche la Corte di giustizia comunitaria non è stata consultata. Ma in fondo, che senso ha ragionare per testi (se non essere ingenui), in una comunità i cui leader non si sentono vincolati dai meccanismi giuridici a cui si affidano? A che serve la legge, visto che fin dal caso del Mali sembra che ci si possa permettere tutto quando le decisioni arrivano dall’onnipotente conferenza dei capi di Stato e di governo?

Le sanzioni imposte al Niger sollevano la questione se l’ECOWAS possa davvero essere considerato una comunità di diritto o uno strumento di disciplina collettiva in termini di “buon governo” e “stato di diritto”

Questa domanda non è insignificante: la dice lunga sulle rappresentazioni che configurano la vita quotidiana di ECOWAS. Alcuni capi di Stato in carica vedono la ECOWAS come uno strumento per proteggersi nei rispettivi paesi da possibili colpi di stato; i partner occidentali percepiscono l’istituzione come un potenziale strumento di intervento indiretto all’interno di una più ampia rivalità internazionale; infine le élite militari demonizzano l’istituzione facendole portare il peso di mali di cui non vogliono rendere conto. Lo spazio concesso alle aspirazioni dei popoli africani è, in tale configurazione, ridotto a ben poco.

Parlamentari regionali spesso ignorati

Il presidente Tinubu ha avuto cura, prima di impegnare il suo Paese in uno scontro militare, di sequestrare il Parlamento nigeriano per una consultazione in vista di un possibile uso della forza. Mentre scriviamo queste righe, il Senato nigeriano, pur condannando il golpe in Niger, si è opposto, con una risoluzione del 5 agosto 2023, all’uso della forza. Allo stesso tempo, il Senato ha invitato il Parlamento dell’ECOWAS (un’istituzione generalmente ignorata dai soliti vertici) a seguire l’esempio. Così facendo, si misura la fragilità giuridica delle decisioni assunte dalla Conferenza dei capi di Stato e di governo

Nella maggior parte dei casi, le procedure ei dibattiti parlamentari vengono semplicemente evitati. Il caso del Niger appare in questo senso eccezionale (sebbene rivelatore) perché impegnerebbe a priori le forze armate nigeriane. Il contrasto con gli altri paesi è netto. Anche il Senegal, ad esempio, attraverso il suo ministro degli Esteri, si è detto pronto a inviare truppe in Niger. È dubbio che il presidente senegalese si sia preso la briga di consultare preventivamente il Parlamento. Ma come potrebbe, in un’area francofona ereditata da un ordinamento giuridico coloniale dove la legge è spesso equiparata al semplice comando? Tuttavia, il protocollo A/SP1/12/01 già citato, incoraggia, in una logica di “buon governo”, ad una convergenza costituzionale, in particolare alla valorizzazione di una cultura parlamentare (art. 1 bis).

Cedere al gioco delle grandi potenze occidentali?

Dalla Pax Americana degli anni ’90, il detto: “Le crisi africane devono trovare soluzioni africane”, nella maggior parte dei casi, significa che “le crisi africane devono trovare soluzioni africane purché coincidano con l’agenda occidentale”. Mentre questa pax americana viene contestata da Russia, Cina e altri membri dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), l’ECOWAS sembra diventare per l’Occidente il veicolo privilegiato di interventi indiretti camuffati da ritorno all’”ordine costituzionale ” o “buon governo”; tutti sanno che un intervento militare diretto della Francia o degli Stati Uniti provocherebbe ulteriore discredito — reazioni anche violente — in un contesto di rifiuto massiccio della politica africana della Francia nell’Africa francofona.

I contorni di un potenziale intervento militare dell’ECOWAS rimangono segreti, ma sembra che non sarà possibile e praticabile senza un minimo supporto logistico e militare da parte dei partner occidentali. Tale affermazione non deve indurre a credere che il presidente Tinubu sia solo un “burattino” nelle mani dell’Occidente. La ECOWAS è attraversata da dinamiche interne e autonome. Tinubu in realtà si unisce all’ex presidente Olusegun Obasanjo nel suo desiderio di fare della Nigeria una forza trainante per la stabilità regionale.

Qui tocchiamo il cuore del problema: è lecito chiudere un occhio sul fatto che i soldati africani potrebbero andare a combattere altri soldati africani? Che dire della frammentazione del gruppo linguistico Hausa, condiviso tra Niger, Nigeria, Ciad, Benin, Togo e Ghana? Per quali scopi? E con quali risultati?

Abbiamo ancora in mente le sporche guerre condotte durante la Guerra Fredda in Angola (1975–2002), in Mozambico (1975–1992), tra Ciad contro la Libia (1976–1987)… L’elenco è lungo, ma attesta che all’interno dell’ordine internazionale l’Africa è stata sufficientemente teatro di guerre per procura tra grandi potenze. Questo non può ignorarlo il presidente Tinubu, il cui paese è stato devastato da una atrocissima guerra civile alimentata dalle grandi potenze, Francia compresa (1967–1970). L’Algeria, che condivide con il Niger un confine di 1.000 km, ha manifestato la sua contrarietà a qualsiasi intervento militare; un comunicato stampa della Farnesina pubblicato il 1° agosto 2023 condanna il golpe e chiede il ripristino dello “Stato di diritto” favorendo la via del dialogo. Il rischioso intervento occidentale che ha portato alla destabilizzazione della Libia è ancora nella mente di tutti…

Ricostruire un progetto politico

Probabilmente anche i vertici dell’ECOWAS hanno dimenticato che l’organizzazione è nata sotto l’impulso di due capi di stato che non si possono dire democraticamente eletti: il nigeriano Yakubu Gowon e il togolese Gnassingbé Eyadéma. Gowon, in particolare, era consapevole che era necessario rompere con il gioco delle potenze occidentali, e che questo era possibile solo attraverso la creazione di uno spazio di solidarietà regionale. Quando è stato creato nel 1975, spettava all’ECOWAS, come la Comunità economica europea (CEE, ora Unione europea), per facilitare il commercio intracomunitario. Questa missione primaria è ovviamente fallita; è stato oscurato dalla continua sicurezza e stabilità dalla fine degli anni ‘90.

A causa di questa genesi, i testi della Comunità mal si prestano a questo nuovo ruolo di poliziotto regionale. Peggio: aprire la strada a un intervento militare in Niger volto a ripristinare “l’ordine costituzionale” e la “democrazia” creerebbe uno sfortunato precedente, visto che non esiste in Africa occidentale (tranne forse a Capo Verde) un modello democratico, se non per confondere democrazia e alternanza politica.

Dal punto di vista strettamente legale la situazione appare quindi bloccata. Solo la possibilità di sanzioni economiche e finanziarie appare legittima rispetto ai testi costitutivi dell’ECOWAS. Dobbiamo risolverci al dialogo, e senza dubbio anche a un serio reinvestimento nel progetto politico regionale.

Ciò che i popoli africani si aspettano almeno è un piano collettivo di lotta al jihadismo, una più trasparente ridistribuzione della ricchezza, un più ampio accesso ai diritti sociali e il pieno e completo godimento dei propri diritti politici. Nessuno può dimenticare che il fallimento del panafricanismo è legato agli antagonismi generati dalla crisi del Congo (1960–1965): il gruppo di Monrovia si oppose allora a quello di Casablanca, stroncando sul nascere la possibilità di una federazione africana.

I leader africani non possono ignorare questa pagina della storia politica del continente in un momento in cui il mondo si sta nuovamente dividendo in blocchi antagonisti. Questa evoluzione dell’ordine internazionale richiede di rompere con le abitudini tecnocratiche per imprimere una nuova direzione al progetto politico dell’Africa occidentale. Esposta a un rischio significativo di insicurezza alimentare, la Nigeria (ma anche il Niger di conseguenza) deve cogliere la crisi in Niger come un’opportunità per andare ancora oltre nell’integrazione dell’Africa occidentale. Non sarebbe ora di federalizzare le competenze nel campo della sicurezza alimentare o dell’accesso all’assistenza sanitaria piuttosto che utilizzare le limitate risorse dei nostri governi per finanziare un rischioso uso della forza?

Un intervento militare avrebbe gravi conseguenze. Destabilizzerebbe ulteriormente la subregione alimentando il jihadismo; spingerebbe l’opinione pubblica africana molto più facilmente nel campo della Russia e della Cina; creerebbe i semi per una futura implosione dell’ECOWAS e dell’UEMOA.

Note sull’autore. Lionel Zevounou

docente di diritto pubblico, ricercatore presso il Centro di teoria e analisi e diritto e ricercatore associato presso IDHES (UMR 8533).

Il suo lavoro si concentra sul diritto dell’economia, sulla teoria giuridica e più in generale sul rapporto tra diritto e scienze sociali. Membro junior dell’Institut universitaire de France dal 2018, sviluppa un progetto sull’analisi del rapporto tra diritto e “razza” nel diritto francese ed europeo.

Con Amy Niang e Ndongo Samba Sylla, è membro fondatore del Collective for African Renewal (CORA): https://corafrika.org/).

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Fulvio Beltrami Freelance Journaliste Africa

The duty of a journalist is to write down the truths which the powerful keep secret. Everything else is propaganda. Italian Jounalist Economic Migrate in Africa